7.11.06

C'era una volta a Roma un bambino nato senza respirare (seconda parte)

Con l'approssimarsi degli esami di 3a media, arrivò la scelta delle scuole superiori. I risultati di un test attitudinale consigliavano la strada del liceo artistico, ma la tumultuosità di quegli anni, le scuole autogestite e occupate, le continue assemblee che vedevano proprio i licei artistici (denominati anche "sperimentali") in prima fila, mi dirottarono (in questo senso spinsero i miei genitori) verso un'altro indirizzo. Siamo nel 1977.

Dal canto mio l'importante era, allora, non incappare nel latino e nel greco, materie che, supponevo, mi sarebbero state indigeste. Mi ero fissato con l'elettronica (in realtà, da appassionato di musica, ero attratto dagli apparecchi che la riproducevano) e pensai: dai proviamo, vuoi vedere che ho trovato la mia strada? Mi sbagiavo di grosso....
Mi ritrovai così all'Istituto Tecnico Industriale San Filippo Neri (che non esiste più) in una classe tutta rigorosamente al maschile (i preti che la gestivano decisero di aprire le porte al gentil sesso l'anno dopo il mio diploma). Ben presto capii che la scelta non era stata delle più felici. In matematica avevo grandi problemi ed anche l'elettronica non era quella che pensavo. Il corpo docente non era dei migliori; spesso, per essere promossi, si era costretti a sostenere dei corsi aggiuntivi, da pagare a parte rispetto alla retta mensile.
Ancora ricordo un professore di matematica che, candidamente, ci ringraziò perché grazie a quei corsi aveva potuto comparsi l'auto nuova. Inoltre, la presenza in classe di alcuni veramente portati per l'elettronica, aveva generato un isolamento di coloro che non erano così dotati in quel campo, per cui in classe, spesso assistevo, invece che a delle spiegazioni ad un'intera classe, a colloqui "privati" tra il professore e quei tre o quattro genietti.
Mi consolavo con l'italiano e con la condotta che, da 10 passò a 9, in quanto "non è possibile che uno abbia 10 in condotta" (frase del professiore di Diritto).

Ebbene si, sono stato sempre un tipo tranquillo, di quelli che non hanno mai avuto una gran voglia di fare i "capopopolo"; avevo la passione per ciò che mi piaceva e su quello mi impegnavo. Così, arrivato alla fine del 4° anno feci un esame di coscienza e capito che non era il caso di perpetuare un'agonia, magari iscrivendomi alla facoltà di ingegneria, pensai che avrei dovuto puntare su un talento naturale ormai acclarato, quello per il disegno, ed una passione emergente, quella per la grafica e per il design. La prima meta fu Urbino, dove all'Istituto Superiore per le Industrie Artistiche (l'ISIA) venni a sapere che a Roma era possibile frequentare un analogo corso legato al design.

Gli esami di maturità, li sostenni con un personale distacco e con un risultato non brillantissimo (43/60). L'italiano è la materia che scelsi di portare come prima (con gioia della professoressa che si sentiva snobbata all'interno di un contesto "scientifico") grazie alla quale racimolai un 10 allo scritto ed un 10 all'orale (con giallo finale).
Dopo lo scritto, un tema sulla Questione meridionale, infarcito ci citazioni tratte dalle novelle di Giovanni Verga che avevo letteralmente divorato alcuni mesi prima, il professore che svolgeva le funzioni di membro interno, mi prese da una parte chiedendomi a bassa voce da che parte avessi copiato, avanzando il dubbio che non si potesse fare un'analisi della questione, così lucida e così ben scritta a soli 18 anni.
Allo scritto, ad una domanda sulla Divina Commedia, che la professioressa non riuscì a spiegarci durante le normali ore di lezione, limitandosi a qualche frettoloso incontro pomeridiano, risposi che non era in programma, invitandoli a farmi un'altra domanda.
Venni poi a sapere che quella professoressa, grazie a quella mia battuta rimasta a verbale, fu invitata ad allontanarsi dalla scuola.
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